CANNABIS: TRA MEDICINA E SCIENZA
Probabilmente molti di voi avranno già sentito parlare dell'utilizzo della cannabis in ambito medico e di come la ricerca stia facendo passi da gigante in merito all'applicazione di alcune sostanze presenti nella Cannabis e di come possa realmente offrire alla comunità scientifica, solide basi per creare e sperimentare cure idonee e alternative per svariate malattie.
Pertanto, ho voluto prendere in considerazione alcuni studi ed importanti ricerche, compiuti da alcuni scienziati dediti alle cosidette “cure alternative” ma che, dal mio punto di vista, tanto alternative non sono, ma possono essere invece considerate sostitutive (se confermati dalla ricerca) verso tante altre cure considerate “standard”, che per svariati motivi, non funzionano come dovrebbero o non provano realmente segnali tangibili della cura.
Esistono numerose ricerche che affermano come la Cannabis possa essere applicata realmente nell'ambito medico, grazie alle sue innumerevoli sostanze.
Partiamo dalla sostanza più comune conosciuta come THC (Tetraidrocannabinolo), uno dei maggiori e più noti principi attivi della cannabis, ovvero il capostipite della famiglia dei fitocannabinoidi.
E' una sostanza psicotropa solo se ingerita o sottoposta a combustione inalata, con proprietà antidolorifiche, euforizzante, antinausea, antiemetiche e anticinetosico.
Le sue azioni farmacologiche risultano dal suo legame con i recettori cannabinoidi CB1 e CB2 che si trovano principalmente nel sistema nervoso centrale e nel sistema immunitario.
La presenza di questi recettori specializzati nel cervello fece presupporre agli scienziati che i cannabinoidi endogeni vengono prodotti naturalmente dal corpo umano.
Si scoprirono infatti numerosi endocannabinoidi tra cui l'anandamide, l'arachidonoilglicerolo e la virodamina.
Esistono altri cannabinoidi naturali chiamati anche “fitocannabinoidi”.
Tra i più importanti vediamo il CBD (Cannabidiolo) che ha effetti sedativi, ipnotici, antiepilettici, antidistonici, antiossidanti e antinfiammatori.
Il THCV (Tetraidrocannabivarina): potente antagonista dell'anandamide, il più noto cannabinoide endogeno (sembra che tale antagonismo si eserciti tanto sui recettori CB1 e CB2).
Il CBN (Cannabinolo): sedativo, antibiotico, anticonvulsante e anti-infiammatorio.
Il CBC (Cannabicromene): antimicotico, anti-infiammatorio, anti-dolorifico e antidepressivo.
Il CBL (Cannabiciclolo), il CBE (Cannabielsoino), il CBG (Cannabigerolo), il CBND (Cannabinidiolo), il CBT (Cannabitriolo), la CBV (Cannabivarina), la CBDV (Cannabidivarina), la CBCV (la cannabicromevarina), la CBGV (Cannabigerovarina) e il CBGM (Cannabigerolo monoetiletere).
Nel XI secolo, Hildegard von Bingen, citava i semi di canapa come potenti antidolorifici.
Nell’erbario del 1485, Peter Schoofer, indicava la canapa in caso di flatulenza, nell'idropisia, nei dolori della zona anale e come cerotto per ulcere ed eruzioni cutanee.
Lenitivo del dolore delle ferite, un decotto delle sue radici e semi, mescolato con olio di rosa, veniva utilizzato per il trattamento dell'erisipela (un infezione della pelle).
Nel XV secolo, in Inghilterra, venivano prescritte delle emulsioni di olio di canapa cotto nel latte, per curare l'incontinenza, la tosse e alcune malattie sessuali.
Nicholas Culpeper, nel 1600, scriveva che un emulsione oppure un decotto di semi di canapa, alleviava il dolore nelle coliche e fermava alcuni tipi di emorragie.
Sempre nello stesso periodo, il medico del Re inglese John Parkinson, citava come i semi di canapa, cotti nel latte, erano utili contro la tosse secca. Lo stesso indicava come la cannabis calmava le coliche, alleviava il dolore della gotta, equilibrava i succhi negli intestini, usata contro il cancro e i dolori articolari ma anche molto utile per uccidere vermi e/o parassiti insediati nel corpo umano. Se il succo fresco dei suoi estratti veniva mescolato con un po' di olio o burro era efficace per ustioni e scottature.
Tuttavia, le prime ricerche scientifiche e mediche sulla cannabis iniziarono soltanto alla fine del Settecento, quando i medici di Napoleone la riportarono in Francia dopo la famosa “Campagna d'Egitto”.
Durante tutto il XIX secolo si notò come, la libera diffusione della cannabis in Francia, influenzò profondamente lo spirito creativo e artistico di alcune personalità geniali dell'epoca.
Nel 1844 a Parigi, Théophile Gautier insieme ai pittori Boissard e Boisdenier, fondò l'esclusivo club letterario degli “Hachischins”, riallacciandosi in qualche modo alla tradizione degli adepti ismailiti racconti nel testo de il “Vecchio della Montagna”.
All'interno di questo circolo si celebravano convegni rituali dove si mangiava dell'hashish, tendenzialmente allo scopo di stimolare facoltà artistiche ed immaginative.
Queste esperienze coinvolsero anche importanti personaggi dell'epoca come Victor Hugo, Gérard de Nerval, Eugéne Delacroix, Alexandre Dumas, Honoré de Balzac ed il giovane Charles Baudelaire.
Lo stesso accadde con Fitz Hugh Ludlow che, nel 1855, scrisse un'articolo sul tema in Putnam's Magazine e l'anno seguente pubblicò “The Hasheesh Eater”, primo classico statunitense sui usi ed effetti dell'Hashish.
In realtà, nel 1834 era stato lo scrittore e viaggiatore Bayard Taylor (1825-1878) il primo americano a descrivere gli effetti della resina di Cannabis su di sé, pubblicando i resoconti dei suoi viaggi intorno al mondo. E fu proprio leggendo tra questi scritti che il giovane Ludlow, figlio di un pastore protestante, decise di sperimentare personalmente la sostanza curiosando nella bottega dell'amico farmacista Anderson, nella cittadina di Poughkeepsie, nello Stato di New York, riuscì a scovare una fiala di “Tilden Extract Of Cannabis Indica” e la usò per i propri esperimenti.
Grazie soprattutto all'opera di O'Shaughnessy, ebbe inizio lo studio della cannabis a scopo prettamente terapeutico.
Nel 1840, il chimico Louis Aubert-Roche pubblicò uno studio sull'efficacia dell'hashish nel trattamento delle piaghe e della febbre tiroidea. Il medico J. J. Moreau de Tours, intuendone le potenzialità curative nei malati di mente, lo sperimentò su se stesso.
Il primo resoconto delle riunioni mensili dei membri del circolo tra cui Andrè Dumas padre, Victor Hugo, Honorè de Balzac e Charles Baudelaire venne pubblicato nel 1845 su “La Presse”. Da allora le successive opere di Gautier (Il Club dei Mangiatori di Hashish), Baudelaire (I Paradisi Artificiali) e Dumas (Il Conte di Monte Cristo) sui vari aspetti connessi agli effetti della sostanza acquistarono fama ed eco internazionali,diventando presto dei classici della letteratura moderna.
Lo stesso accadde con Fitz Hugh Ludlow, intimo amico di Mark Twain,che nel 1855 scrisse un articolo sul tema in “Putnam's Magazine” e l'anno seguente pubblicò “The Hasheesh Eater”, primo classico statunitense su usi ed effetti dell'hashish.
Le maggiori industrie farmaceutiche (Squibb e Parke - Davis Co.) commercializzarono una riuscita "Tintura di Cannabis", presente ancora nel catalogo dei prodotti farmaceutici e biologici per i medici del 1929-30.
Sulla una bottiglia di fluido alla canapa (circa un litro), il prezzo era di circa $ 5.00 e sull'etichetta diceva: "Cannabis, U.P.S. questo fluido estratto è preparato da Cannabis Sativa cresciuta in America, alcool 80%, dose media 0.1 cc., narcotico, analgesico, sedativo".
Nel 1894 il Parlamento inglese pubblicò i risultati dei lavori di un'apposita commissione incaricata di studiare la diffusione della canapa in India: i sette volumi del rapporto confermavano l'innocuità e l'efficacia terapeutica della pianta lungo il corso di migliaia di anni.
Adesso però voglio porre come primo esempio uno dei disturbi più comuni all'essere umano, un disturbo alquanto fastidioso e dove non esiste ancora oggi un'esatta cura per questo tipo di patologia: l'Emicrania.
Quanti di noi ne soffrono? A volte leggera e occasionale, per altri invece una vera e propria malattia deabilitante.
Si stima che circa il 12% della popolazione mondiale ne soffra e che molti di loro non consulterebbe uno specialista, ricorrendo spesso e volentieri a rimedi farmacologici scontati, come l'assunzione di analgesici e/o antiinfiammatori.
Alcune recenti ricerche scientifiche, suggerivano una correlazione tra episodi ripetuti di gravi emicrania e una deficienza nel sistema endocannabinoide.
Il sistema endocannabinoide è un complesso sistema di comunicazione tra cellule presente nel nostro organismo.
E' composto da recettori endocannabinoidi, i loro ligandi endogeni e le proteine coinvolte nel metabolismo e nel trasporto degli endocannabinoidi stessi.
Questo sistema è di grande importanza per il normale funzionamento dell'organismo e prende il suo nome dalla pianta di cannabis poiché alcuni fitocannabinoidi in essa presenti, mimano gli effetti degli endocannabinoidi legandosi ai medesimi recettori.
In un recente studio pubblicato sul “Journal of Headache and Pain”, i ricercatori dell' Istituto Neurologico Casimiro Mondino di Pavia, hanno dimostrato sui topi che un composto sintetico simile alla cannabis terapeutica può placare il dolore in emicrania indotte.
Questi risultati suggeriscono che la manipolazione farmacologica del recettore CB2 può rappresentare un potenziale strumento terapeutico per il trattamento dell'emicrania, scrive la dottoressa Cristina Tassorelli, principale autrice dello studio.
Un altro particolare disturbo, che influenza la vita quotidiana di molte persone e che circa il 40% della popolazione ne soffre, è l'insonnia.
Molti studiosi affermano che il nostro stile di vita mondano e lo stress giornaliero influiscano sul riposo, incentivando tutti quei disturbi legati al sonno che, se non vengono precocemente diagnosticati, si possono sviluppare in vere e proprie malattie.
Alcune delle prime ricerche sulla Cannabis e il sonno dimostrano come il THC, possa ridurre significativamente il tempo necessario per addormentarsi.
In un piccolo studio pubblicato nel 1973, il THC ha ridotto il tempo impiegato per addormentarsi per 9 soggetti con insonnia di oltre un'ora, in media. Tuttavia i ricercatori hanno notato che una dose troppo alta potrebbe contrastare l'effetto.
I primi studi hanno anche rivelato che l'assunzione sia di THC che di CBD prima di andare a dormire, potrebbe portare un aumento del sonno in generale.
Alcuni degli effetti più interessanti della cannabis sul sonno coinvolgono il suo impatto sul ciclo del sonno stesso.
Gli studi mostrano come il THC possa aumentare la quantità di sonno a onde lente, noto anche come sonno profondo. Questa probabilmente è una buona notizia, dato che il sonno profondo svolge un ruolo importante nel processo di restauro che si verifica quando dormiamo.
Quando parliamo di uso terapeutico, la cannabis potrebbe offrire un vantaggio incredibile per il 34% delle persone che soffrono di un altro disturbo legato al sonno: l'Apnea Ostruttiva.
L'apnea ostruttiva notturna è caratterizzata da respiro interrotto durante il sonno, ed è stata collegata ad una serie di condizioni gravi, tra cui il diabete e problemi cardiaci.
Nel 2002 è stato condotto uno studio pubblicato sulla rivista “American Academy of Sleep Medicine”, dove alcuni ricercatori affermavano che alcune dosi di THC stabilizzavano la respirazione durante il sonno bloccando la produzione di seratonina indotta nell'apnea del sonno in modo statisticamente significativo.
Per questo motivo gli stessi ricercatori della “University of Illinois di Chicago”, hanno voluto monitorare 15 pazienti affetti da apnea ostruttiva del sonno, caratterizzata da pause ripetitive nella respirazione durante il sonno nonostante lo sforzo di respirare, dopo un trattamento a base di THC.
La terapia ha prodotto un cambiamento elettroencefalogramma (EEG) potenziando le frequenze delta e theta e rafforzando i ritmi normali del sonno dei 15 pazienti con apnea ostruttiva.
Il farmaco a base di cannabinoidi, Dronabinol, è stato associato ad un significativo aumento di potenza theta, che può essere notata in stato di sonnolenza, eccitazione o in meditazione.
A dosi crescenti di THC c'era una maggiore quantità di variazione della potenza nella banda delta dell'EEG.
Gli autori hanno cosi dichiarato che il THC provoca un rafforzamento dei ritmi ultradiani nell'elettroencefalogramma del sonno (il ciclo di 90/120 minuti delle fasi del sonno durante il riposo umano) confermando dunque l'effetto benefico della cannabis nel trattamento di questa malattia.
Da una ricerca effettuata invece sull’epilessia, si denota come un semplice farmaco, ancora in fase di sperimentazione, possa concretamente dare il suo contributo.
Il farmaco si chiama Epidiolex, ed è composto al 98 % di CBD ed è prodotto dalla società inglese GW Pharmaceuticals.
Gli studi pre-clinici hanno dimostrato come il CBD, insieme al CBDV, hanno il potenziale di ridurre le crisi epilettiche.
La dott.ssa Patricia Corby della “NYU School of Medicine” ha sottolineato che i risultati finora sono stati estremamente promettenti.
Il suggerimento è che gli estratti di cannabis ricchi di CBD, potrebbero essere efficaci nei trattamenti anti-convulsivi e che sono anche meglio tollerati, data la mancanza di effetti collaterali significativi, rispetto ad altri farmaci antiepilettici esistenti.
In America, è stata permessa la sperimentazione clinica di cannabidiolo in diversi stati come Alabama, Kentucky, Mississippi, Utah e Wisconsin. In Florida invece hanno permesso lo stanziamento di quasi 1 milione di dollari per la creazione di un farmaco ricco di CBD, mentre lo stato della Georgia e New York hanno sviluppato gli accordi con la GW Pharmaceuticals per testare il farmaco antiepilettico.
Anche l'Europa vuole fare la sua parte, infatti anche in Scozia, un team di ricercatori dell'università di Edimburgo ha fatto domanda per avere il permesso di studiare questo tipo di trattamento.
Il dott. Richard Chin, neurologo pediatrico presso il “Muir Maxwell Epilepsy Centre” dell' Università di Edimburgo, ritiene che il farmaco possa essere un'alternativa per i pazienti che non rispondo ai trattamenti tradizionali, affermando inoltre che il CBD non solo contribuisce a diminuire le crisi epilettiche ma fa anche aumentare il lasso di tempo che passa tra una crisi e l'altra. Inoltre, secondo quanto afferma il dott. Chin, migliora anche il comportamento e la cognizione.
Un’altra ricerca che vorrei menzionare e alla quale voglio dare il mio personale contributo è sulla Sclerosi Multipla.
L'American Academy of Neurology discute di vari approcci considerati alternativi alla medicina ufficiale nel trattamento della sclerosi multipla. Nella lista dei pochi che secondo gli studiosi potrebbero essere ritenuti efficaci, la cannabis è descritta come il farmaco con il più alto potenziale.
L'indagine, pubblicata su Neurology, ha preso in considerazione 2.608 ricerche per arrivare ad affermare che alcuni tipi di cannabis tarapeutica, siano in grado di attenuare sintomi della grave patologia che vanno dalla spasticità muscolare ai dolori, per arrivare all'incontinenza urinaria.
Non solo, come avverte la rivista “Journal of Neuroimmune Pharmacology”, gli scienziati hanno dimostrato che alcune sostanze della cannabis potrebbero prevenire l'infiammazione nel cervello e nel midollo spinale.
Intanto il Sativex, farmaco orale a base di cannabis disponibile anche in Italia per combattere la spasticità muscolare dovuta alla malattia, nonostante le polemiche dovuto al suo costo elevato, è stato approvato in 24 paesi e in un recente studio scientifico è stato definito come “ una buona alternativa ai trattamenti standard in quanto migliora la spasticità nella sclerosi multipla refrattaria ed ha un profilo di tossicità accettabile”; e in un altro studio si spiega come “nel dolore neuropatico periferico, l'estratto di cannabis Sativex può causare miglioramenti clinicamente importanti nel dolore e nella qualità del sonno.
I primi studi di questo farmaco sono stati incentrati nel trattamento dell'Artrite Reumatoide.
Sebbene le differenze siano piccole e variabili nel gruppo di 56 pazienti studiati, i risultati sono statisticamente significativi.
Esiste un'evidenza aneddotica che la cannabis possa risultare utile nel trattamento del dolore associato all'artrite reumatoide.
Lo studio coordinato da David Blake del Royal National Hospital for Rheumatic Diseases (RNHRD) è il primo studio randomizzato, controllato con placebo, ad aver valutato un farmaco derivato dalla Cannabis nell'artrite reumatoide.
Un totale di 58 pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere Sativex (n = 31) oppure placebo (n = 27).
Il trattamento con Sativex è durato 3 settimane.
È stato osservato che i pazienti trattati con Sativex hanno presentato, rispetto ai pazienti del gruppo placebo, significativi miglioramenti nel dolore in movimento e a riposo, nella qualità del sonno, nell'infiammazione (misurata mediante DAS28) e nell'intensità del dolore (misurata mediante SF-MPQ).
Alla scala DAS28 (Disease Activity Score) con punteggio compreso tra 0 e 10, i pazienti che hanno assunto Sativex sono passati in media da 5.9 a 5 (placebo: da 6 a 5.9).
Alla scala SF-MPQ con punteggio compreso tra 0 a 100, i pazienti del gruppo Sativex hanno ridotto il punteggio medio da 48 a 33, mentre i pazienti del gruppo placebo non hanno presentato variazioni; il punteggio è rimasto a 50.
Gli effetti indesiderati sono risultati generalmente lieve-moderati (capogiri, sensazione di testa vuota, secchezza delle fauci, nausea,tachicardia, difficoltà nel controllo sfinterico). Tra gli 8 pazienti che hanno manifestato capogiri di lieve intensità, in 4 le reazioni avverse si sono presentate nelle prime 2 settimane quando era in corso l'aumento graduale del dosaggio, mentre in 2 pazienti i capogiri si sono presentati 2 giorni dopo l'assunzione del farmaco.
Nessun paziente che ha assunto Sativex ha dovuto interrompere lo studio clinico per la comparsa di effetti indesiderati, contro i 3 del braccio placebo.
I risultati del primo studio controllato che ha valutato Sativex nell'artrite reumatoide sono stati molto incoraggianti.
La componente THC che è ritenuta responsabile dell'azione stupefacente della cannabis, ha un'attività farmacologica e non può essere rimossa dal farmaco. Tuttavia, il metodo di somministrazione mediante spray orale ed il principio di auto-somministrazione, dove ciascun paziente determina in modo graduale la propria dose ottimale fino ad un massimo di 12 dosi giornaliere, rendono minimo il rischio di intossicazione.
I dati su più di 1000 pazienti trattati con Sativex negli studi clinici non hanno mostrato alcun caso di abuso. L'obiettivo dei pazienti che assumono Sativex è infatti quello di ritornare a condurre una vita normale.
Un altro studio compiuto dai ricercatori della “Cina Second Military Medical University” oltre a confermare che la cannabis possa aiutare a combattere l'artrite remautoide, si è spinto oltre, nel tentativo di capire come ciò possa avvenire.
Pubblicato sulla rivista “Rheumatology”, la ricerca spiega come la cannabis possa avere effetti terapeutici sulle infiammazioni delle articolazioni.
Il motivo sembra essere l'attivazione dei recettori CB2, presenti in numero molto elevato nei tessuti articolari dei pazienti affetti da artrite.
Il nuovo studio, condotto dal dottor Sheng-Ming Dai e dal suo team, del dipartimento di reumatologia e immunologia dello “Changhai Hospital”, ha confermato la presenza dei recettori CB2 nei campioni di tessuto prelevati dai pazienti affetti da osteoartrite e artrite reumatoide.
In più, utilizzando una sostanza chimica derivata dalla cannabis che attiva solo i recettori CB2, i ricercatori sono stati in grado di sopprimere molecole infiammatorie che si pensa siano coinvolte nell'erosione della cartilagine.
Come abbiamo potuto vedere, l'uso del THC nella medicina attuale, gioca un ruolo molto importante per alcune malattie offrendo al malato quel meritato sollievo che ognuno di noi ha diritto di avere.
La scienza ha fatto passi da gigante in merito e lo continua a fare tutt'ora anche verso altri tipi di malattie, come vedremo in seguito, ad esempio nel trattamento dell’asma.
Uno studio pubblicato sul “British Journal of Pharmacology”, spiega che la cannabis possa avere sulle vie aeree, un effetto simile a quello di alcuni farmaci per l'asma.
Usando dei campioni di tessuto polmonare umano, alcuni ricercatori francesi hanno scoperto che il THC, potrebbe bloccare le contrazioni muscolari causate da una molecola chiamata aceticolina, che è responsabile del mantenimento muscolare delle vie aeree, contribuendo alle contrazioni durante gli attacchi di asma.
Come spiega la rivista scientifica “Leafscience”, il dott. Donald Tashkin, professore di medicina presso la “UCLA” ha commentato spiegando che: “I farmaci per l'asma impediscono all'aceticolina di legarsi al suo recettore, il THC impedisce all'aceticolina di essere rilasciata”.
E' sotto inteso spiegare che fumare uno spinello, provochi la combustione ed i suoi effetti nocivi che sono irritanti per il tessuto respiratorio, portando quindi una risposta infiammatoria dell'organo.
L'alternativa a ciò potrebbe essere l'utilizzo di un vaporizzatore.
La vaporizzazione della cannabis per uso medicinale sta diventando sempre più popolare, come uno dei modi più salutari di assunzione della cannabis stessa.
I vaporizzatori riscaldano la cannabis ad una temperatura accuratamente controllata, alla quale i principi attivi (THC ed altri cannabinoidi) passano allo stato di vapore.
Il vapore della cannabis viene inalato allo stesso modo in cui si inala il fumo, ma senza gli effetti collaterali del fumo. Dato che il THC viene rilasciato senza combustione, nulla viene perso per sovra combustione (come accade quando la cannabis viene fumata), permettendo un consumo più efficiente della quantità prescritta di cannabis.
Le trasformazioni socioeconomiche dei paesi industrializzati nel corso del XX secolo hanno radicalmente mutato il quadro delle malattie. Molte di esse (il colera, la difterite e altre) sono scomparse o hanno ridotto al minimo i propri effetti negativi.
Se nell'Italia della fine del XIX secolo le principali cause di morte, erano legate alle malattie gastroenteriche (oltre 300 morti l'anno ogni 100 000 abitanti), alla bronchite (250), alla polmonite (230), alla tubercolosi (200), nell'Italia di cento anni dopo prevalgono invece le malattie del sistema cardiocircolatorio e i tumori.
Nuove malattie sono comparse inoltre nel mondo industrializzato, diretta conseguenza dell'inquinamento (allergie e tumori). Un caso clamoroso - anche per i suoi risvolti sulla psicologia sociale e sul costume che hanno fatto parlare di peste del 2000 - è rappresentato dalla sindrome da immunodeficenza acquisita, o AIDS (Acquired Immuno-Deficiency Syndrome), diagnosticata per la prima volta nel 1981. Di natura virale, essa può essere contratta per via sessuale o attraverso il contatto con il sangue di un ammalato e ha colpito particolarmente i Paesi extraeuropei; negli ultimi anni, si è molto diffusa anche nel mondo occidentale. Gli scienziati sono al lavoro per trovare una cura efficace, e la cannabis fa la sua parte.
Utilizzata negli anni '90 per alleviare il dolore cronico o far tornare l'appetito ai malati affetti da HIV o AIDS, potrebbe essere efficace nel combattere direttamente gli effetti della malattia.
La ricerca, pubblicata di recente sulla rivista AIDS Research and Human Retroviruses, è stata condotta da ricercatori della Louisiana State University, che per 17 mesi hanno somministrato quotidianamente una dose di THC ad un gruppo di scimmie affette dal virus dell'HIV.
Durante la sperimentazione, gli scienziati hanno potuto osservare una diminuzione dei danni al tessuto intestinale dei primati, una delle parti del corpo dove l'infezione da HIV si sviluppa più comunemente, trovando prove del fatto che sia un effetto legato all'azione genetica del THC, osservando quindi livelli più elevati di cellule immunitarie sane negli animali che avevano ricevuto il trattamento a base di tetraidrocannabinolo.
Nel 2011, la dott.ssa Patricia Molina, a capo del dipartimento di Fisiologia, aveva scoperto insieme al suo team, come le scimmie avevano più bassi livelli di infezione virale e migliori tassi di sopravvivenza, affermando che il THC porti ad una immunodulazione utile, sopratutto nelle prime fasi di infezione.
Anche le ricerche sull'uso della cannabis per combattere il cancro non sono da meno.
Voglio citare in questione, una dottoressa che da circa 10 anni studia gli effetti antitumorali dei cannabinoidi.
La dottoressa Christina Sanchez, parte spiegando che ognuno di noi ha un sistema endocannabinoide, cioè un complesso sistema di comunicazione fra cellule che regola molte funzioni biologiche (appetito, apparato motorio, riproduzione, ecc...) che crea all'interno del nostro corpo dei cannabinoidi simili a quelli contenuti nella cannabis, che si chiamano appunto endogeni perché prodotti da noi; questo sistema, insieme ai recettori dei cannabinoidi, reagisce a quelli derivati dalla cannabis che vengono introdotti nel nostro corpo.
Secondo la dottoressa è proprio per questo motivo che la cannabis sembra avere così tante applicazioni in medicina e potrebbe aiutare a curare diversi tipi di tumore.
Le sue ricerche vanno di pari passo con quelle del dottor Wai Liu, che analizzano gli effetti anti-tumorali di altri componenti della cannabis che, al contrario del THC, non sono psicoattivi e quindi non provocano l'effetto “sballo” che viene comunemente associato alla cannabis.
Secondo questo studio, pubblicato anche su “Anticancer Research”, sarebbero almeno 6 i cannabinoidi contenuti nella cannabis ad avere questi effetti antitumorali, anche se il team medico del dott. Liu ha deciso di concentrarsi su diversi cannabinoidi, non psicoattivi, come il cannabidiolo (CBD), cannabigerolo (CBG) e la cannabigevarina (CBGV).
Questi sono in grado di interferire con lo sviluppo delle cellule cancerose fermandone lo sviluppo, e in alcuni casi, utilizzando schemi di dosaggio specifici, possono distruggere le cellule tumorali.
Anche in Italia però non siamo da meno, un recente studio dei ricercatori dell'università di Milano, ha dichiarato che: “il CBD è un fitocannabinoide non psicoattivo che risulta privo di effetti collaterali. I nostri risultati supportano il suo utilizzo come un farmaco anti-cancro efficace nella gestione dei gliomi”.
Esistono anche altri innumerevoli cure verso malattie ancora poco conosciute, che possono colpire uno degli organi più importanti legati al coordinamento psico-motorio, come la vista.
Una malattia alquanto rara legata ad essa è la retinite pigmentosa.
La retinite pigmentosa è una malattia oculare genetica che può condurre a grave perdita della vista e cecità. La malattia colpisce 1 persona su 4mila e peggiora quando delle cellule presenti nella retina, chiamate fotorecettori, muoiono.
La rivista “Experimental Eye Research” ha pubblicato uno studio su come i cannabinoidi siano in grado di rallentare il decorso della malattia ed evitare la cecità, realizzato dai ricercatori dell'Università di Alicante in Spagna.
Il gruppo infatti ha sperimentato il trattamento a base di cannabinoidi in forma sintetica, sui ratti.
Il dott. Nicolas Cuenca e principale autore dello studio ha sottolineato che i cannabinoidi sono potenzialmente utili per ritardare la degenerazione retinica nei pazienti con retinite pigmentosa.
Infatti, i topo che hanno ricevuto il trattamento, dopo i 90 giorni di sperimentazione, avevano il 40% in più di fotorecettori.
I risultati incoraggianti non hanno però sorpreso i ricercatori, visto che i cannabinoidi hanno già evidenziato risultati promettenti nel trattamento di altri disturbi degenerativi come nel Parkinson, nell'Alzheimer, nel diabete e in alcuni casi anche nell'Ictus.
Come racconta Leafscience.com, nel 1978 uno studio scientifico ha evidenziato come la cannabis ha causato un ritardo nella regolazione della pupilla, concludendo come un prodotto metabolico a base di cannabinoidi agisca direttamente sulla retina per produrre il ritardo nel recupero dell'abbagliamento.
I risultati incoraggianti non hanno però sorpreso i ricercatori, visto che i cannabinoidi hanno già evidenziato risultati promettenti nel trattamento di altri disturbi degenerativi come nel Parkinson, nell'Alzheimer, nel diabete e in alcuni casi anche nell'Ictus.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista European Journal of Medicinal Chemistry dai ricercatori dell'istituto di Medicina del Consiglio superiore di ricerca scientifica spagnolo, i cannabinoidi possono migliorare la vita dei pazienti affetti ad esempio dal morbo di Alzheimer.
Come abbiamo potuto osservare in precedenza, i cannabinoidi agiscono su percorsi specifici presenti anche nel cervello chiamati recettori, e secondo il team suggeriscono una serie di vantaggi.
Nei recettori CB1 la loro attività sembra preservare le funzioni cognitive, mentre nei recettori CB2 possano aiutare a proteggere il cervello.
Considerati nel loro insieme questi risultati suggeriscono che l'attivazione dei recettori CB1 possano interrompere il meccanismo di eccitossicità e mentre i recettori CB2 possono sopprimere la neuro infiammazione e portare alla rimozione della placca. Secondo il pensiero scientifico corrente l'accumulo di placca è ritenuto causa dell'infiammazione che porta alla morte cellulare, quindi l'infiammazione cronica è considerata da alcuni studiosi come la causa del morbo di Alzheimer.
Secondo Gary Wenk, professore di neuroscienze, immunologia e genetica medica presso la Ohio State University, ha di recente dichiarato al “Time” che nei suoi 25 anni di ricerche per combattere e prevenire le infiammazioni celebrali, “i cannabinoidi sono la prima e unica classe di farmaci che siano mai stati efficaci”.
I ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York hanno scoperto che il cannabidiolo (CBD), può impedire l'accumulo di grassi provocati dall'alcool, fenomeno meglio conosciuto come steatosi epatica, patologia che nel tempo può portare a problemi più gravi come epatite e cirrosi.
Lo studio, pubblicato online sulla rivista “Free Radical Biology and Medicine”, è stato condotto dai ricercatori sui topi, confermando come il CBD possa impedire l'accumulo di grassi e altri fattori di danno al fegato. L'analisi molecolare ha confermato molteplici fattori, tra i quali le proprietà antiossidanti del CBD e la sua capacità di stimolare meccanismi coinvolti con la ripartizione di grasso.
A proposito di questo argomento, vediamo come altri studi hanno potuto dimostrare l'effetto benevolo della cannabis nel trattamento delle dipendenze da alcool e droghe pesanti.
Gli ultimi dati, pubblicati su Addiction Research & Theory, provenivano da un sondaggio condotto su oltre 400 pazienti iscritti al programma statale di cannabis terapeutica in quattro dispensari del distretto canadese della “British Columbia”.
Alla domanda che chiedeva loro se avessero mai usato marijuana per sostituire farmaci, alcool o droghe illecite, oltre il 75% ha risposto affermativamente.
Il 68% ha indicato la cannabis come un sostituto per farmaci che erano stati loro prescritti.
Il 41% ha anche affermato di averla usata per l'alcool e il 36% per altre sostanze illecite, come eroina e cocaina.
Dai risultati è più che evidente come alcuni pazienti l'abbiano usata in sostituzione di più sostanze.
Secondo il dott. Philippe Lucas, la cannabis potrebbe agire come un “farmaco di uscita” quando si tratta di abuso di sostanze, in contrapposizione al concetto che la cannabis sia il primo passo verso l'utilizzo di sostanze più pesanti. Lo stesso aggiunge, “si potrebbe osservare un leggero aumento del consumo di cannabis, ma in seguito assisteremmo ad una diminuzione del consumo di alcool, sostanze illecite e farmaci, con un grande risparmio e altrettanti benefici per la sanità pubblica.”
In questo capitolo ho voluto descrivere, a seconda del materiale che ho potuto acquisire da diverse fonti scientifiche, quali siano effettivamente i benefici della cannabis.
Tuttavia, esistono anche pareri discordanti sull'argomento da parte di alcuni medici e/o istituti scientifici che, probabilmente volendo favorire le grosse case farmaceutiche oppure perché non conosco il tema in prima persona, rimangono restii nel credere sulle potenzialità legate ad essa.
Vorrei precisare che personalmente non ho una laurea in medicina e che quindi non sono un medico per poter accertare con esattezza quanto scritto, ma basta capire quanti medici, scienziati, istituti di ricerca e ospedali che convenzionano queste cure “alternative”, siano pienamente convinti dei risultati ottenuti e lottano ogni giorno per convincere ancora di più se stessi e tutta la comunità scientifica, ad aprire gli occhi verso quello che potrebbe essere il futuro della medicina, per non contare gli effetti positivi che un malato, facendone uso, ha potuto constatare sulla propria pelle...e l'efficacia di un farmaco dovrebbe basarsi proprio su questo!
Inoltre, abbiamo la possibilità oggi, di avere a nostra disposizione molti mezzi di informazione a riguardo, per valutare e considerare oggettivamente i benefici della cannabis.