LA CANAPA COME FONTE DI ENERGIA RINNOVABILE

LA CANAPA COME FONTE DI ENERGIA RINNOVABILE

Se avete già letto gli articoli precedenti, abbiamo visto come la canapa sia davvero una pianta dalle mille risorse. Una risorsa naturale che oltre ai suoi più comuni utilizzi è considerata anche una fonte di energia rinnovabile.
Il primo ad accorgersene fu l’imprenditore e ingegnere statunitense Henry Ford, nonché fondatore della “Ford Motor Company”, la nota società produttrice di automobili.
Egli fu il primo nel credere sulle potenzialità energetiche della canapa, di fatto fu l’inventore della “Ford Hemp Body Car”, un automobile mai messa in commercio, interamente realizzata in fibre di canapa ed alimentata da etanolo di canapa. Fu così entusiasta dall’idea, che unì a questo progetto i suoi migliori ingegneri, e nel 1941, dopo 12 anni di ricerca, concretizzarono quanto voluto.
Sei anni dopo Ford morì, e nel 1955 purtroppo, gli Usa proibirono la coltivazione di canapa.
Per capire come funziona il processo di combustione della canapa, bisogna parlare del concetto di biomassa.
Per biomassa si intende l’insieme delle coltivazioni, degli scarti agricoli e forestali, prodotti secondari e scarti dell’industria agroalimentare. Le alghe marine e molte specie vegetali utilizzate per la depurazione di liquami organici, dei biocarburanti e dei gas utilizzati a scopi energetici. Cioè sostanze di origine biologica in forma non fossile.
La biomassa inoltre, è considerata tra le più antiche e durevole forma di energia impiegata nelle attività umane.
Secondo un sondaggio avvenuto negli States, circa il 91% dei fabbisogni energetici nazionali era coperto da biomasse legnose.
La cannabis, presentandosi come pianta legnosa contenente il 77% di cellulosa, costituisce sicuramente una valida alternativa al legno che produce solo circa il 60% di cellulosa con conseguente disastro per l’ecosistema.
Non solo. La produzione mondiale di biomassa è stimata in 146 miliardi di tonnellate metriche all’anno, principalmente costituita da vegetazione selvatica.
Alcuni alberi, ad esempio, possono produrre fino a venti tonnellate metriche per acro all’anno, mentre certi tipi di erbe o alghe ne possono produrre anche fino a cinquanta all’anno.
La canapa possiede inoltre una capacità di riscaldamento di quasi 225 calorie ogni 500 grammi, praticamente senza emettere cenere o solfuro durante la combustione.
Si calcola che circa il 6% di terreni contigui negli Usa, coltivati per produrre biomasse, potrebbero supplire all’attuale domanda di petrolio e gas.
La conversione da biomassa a combustibile è risultata economicamente conveniente sin dal 1973, attraverso degli esami in laboratorio e dai suoi risultati svolti in impianti pilota.
La pianta di canapa quando cresce assorbe il CO2 dell’aria, e nel momento in cui viene bruciata, il CO2 si libera creando un sistema bilanciato.
Attraverso la pirolisi (processo già utilizzato dagli antichi egizi per la distillazione del legno da cui ricavavano catrami e acido piroligneo, impiegato per l’imbalsamazione) è possibile applicare un forte calore alla materia organica, in totale assenza o in presenza di ossigeno.
Da questo procedimento si ricava la carbonella, liquidi organici condensabili, gas non condensabili, acido acetico, acetone e metanolo.
Attraverso lo stesso processo si può ricavare l’etanolo e il biodiesel.
I principali prodotti da cui ricavare l’etanolo (considerato carburante alternativo al petrolio per l’autotrazione) sono la cellulosa di canapa, l’amido di riso e gli zuccheri della barbabietola.
In un primo momento l’etanolo, è stato preso in considerazione, in quanto permetteva di sostituire aliquote non trascurabili di idrocarburi, contribuendo così alla riduzione da dipendenza petrolifera e successivamente per le sue qualità alto-ottaniche che consentono appunto di aumentare il numero di ottani della base idrocarburica, senza ricorrere ad additivi a base di piombo.
Un altro carburante, anch’esso sostituibile agli odierni gasoli, nafte e derivati del petrolio è il biodiesel.
Il biodiesel, deriva dalla trans-esterificazione degli oli vegetali prodotti da semi di canapa, soia, colza e girasole effettuato con alcol etilico e metilico.
Per questo ne risulta un combustibile puro, rinnovabile e a bassissimo impatto ambientale risultando biodegradabile al 98%, molto simile all’etanolo.
Da non dimenticare che non contiene zolfo, uno dei tanti derivati dal petrolio, insieme agli idrocarburi policiclici aromatici come xilene, benzene, toluene, ecc., maggiori responsabili per l’inquinamento atmosferico.
Inoltre, può anch’esso alimentare motori per autotrazione, gruppi elettrogeni, centrali termiche e termoelettriche, navi e perché no, anche aerei!
Secondo una nota di Lynn Osburn in “Energy farming in America”:
“…la pirolisi ha il vantaggio di usare la stessa tecnologia attualmente adottata per processare combustibili fossili grezzi e carbone. Da una parte la conversione di carbone e combustibili è più efficiente in termini di rapporto tra resa e quantità di materia impiegata; dall’altra la conversione della biomassa attraverso la pirolisi ha molti vantaggi sia economici che ambientali.
Strutture predisposte per la pirolisi potrebbero effettuare tre turni al giorno. Qualcosa come il 68% dell’energia della biomassa grezza sarà contenuta nella carbonella e nei combustiibili prodotti in tali strutture; questo tipo di carbonella possiede circa la stessa valenza calorica in BTU (British Termal Unit) quanto quella del carbone, senza emanazione di solfuro.
La carbonella potrebbe essere trasportata utilizzando la ferrovia, in tutti gli impianti generatori di energia della zona urbana. I combustibili potrebbero invece essere trasportati su strada, creando così più posti di lavoro agli americani. Quando gli impianti useranno carbonella invece che carbone, il problema delle pioggie acide inizierà a scomparire.
Una volta che questo sistema d’energia si sarà consolidato nel produrre un rifornimento regolare di combustibile per gli impianti di energia elettrica, diventerà più praticabile la costruzione di complessi sistemi di gassificazione per produrre metanolo dai “cubi” di biomassa, oppure la creazione di benzina sintetica dal metanolo attraverso l’aggiunta al gassificatore dell’apparecchiatura per il procedimento Mobil Co.
Agli agricoltori deve essere permesso di coltivare “piante d’energia” capaci di produrre 10 tonnellate per acro in 90-120 giorni. Il raccolto deve essere di natura legnosa e ad alto contenuto di ligno-cellulosa.
Deve inoltre poter crescere in qualsiasi zona climatica degli Stati Uniti, senza entrare in competizione con la produzione di derrate alimentari per l’utilizzo di terreni fertili, ma essere quindi alternato a rotazione ad altri raccolti oppure coltivato in aree marginali non proficue per i prodotti alimentari.
Quando gli agricoltori potranno trarre profitto di coltivare energia, non ci vorrà molto per raggiungere un 6% di terreni continentali americani convertiti in coltivazioni di bio-combustibile, percentuale che sarebbe sufficiente a rimpiazzare la dipendenza della nostra economia dai combustibili fossili.
Non aumenteremo il livello di CO2 nell’atmosfera e, diminuiremo i cambiamenti climatici avversi e la minaccia del riscaldamento globale dovuto all’effetto serra.
Per mantenere bassi i costi, i reattori della pirolisi devono essere collocati entro un raggio di 75 km circa dalle coltivazioni. Tale necessità riporterebbe la vita nelle piccole città in seguito alla creazione di posti di lavoro nella zona”.
Questo modello descritto da Lynn Osburn è l’esempio pratico su come gestire risorse pulite e non inquinanti ponendo sicuramente una soluzione al problema riguardo l’estrazione e l’utilizzo di fonti di energia non rinnovabili ed in esaurimento attualmente usate dall’uomo. Un modello che, attuato nei nostri Paesi, favorirebbe non solo l’ambiente ma garantirebbe un futuro migliore per i nostri figli.

 

Torna al blog

Lascia un commento